Ci siamo trasferiti in questo nuovo quartiere molto tranquillo, ancora in via di costruzione, appena sei mesi fa.
Siamo in una zona di Milano che è stata completamente riqualificata. Quando l’addetto commerciale ci aveva presentato il rendering del progetto ci aveva immediatamente convinto. Prettamente residenziale, elegante, con giardini curati e servizi essenziali garantiti.
Ma nulla mi aveva preparato all’arrivo di Malik, il nuovo vicino, e soprattutto alla trasformazione che avrebbe causato in mia moglie Giulia… e in me.
Malik era alto, muscoloso come un atleta professionista, con la pelle nera lucida come l’ebano, i lineamenti scolpiti, e un portamento lento e sicuro che sembrava dire: “So esattamente cosa voglio, e come ottenerlo.” L’ho notato subito. Ma ho notato ancora di più come lo guardava Giulia.
Lei lo spiava dalla finestra, fingendo di spolverare, con le labbra socchiuse e le dita che stringevano il vetro. Ogni volta che lui si piegava per scaricare uno scatolone dal furgone, le sue pupille si dilatavano, e le sue gambe si stringevano l’una contro l’altra.
Era evidente che lo desiderasse ardentemente, le sono sempre piaciuti gli africani.
La sera stessa, mentre cenavamo, mi parlava di lui. “Hai visto che mani? Dev’essere bravissimo con quelle…” diceva ridendo, ma non era una battuta. Era una confessione.
E io? Mi sentivo diviso tra gelosia e un’eccitazione oscura, profonda. Avevamo sempre giocato con le fantasie cuckold, ma per la prima volta avevamo davanti un candidato reale.
Un uomo.
Un maschio vero.
Un toro.
L’invito: come è iniziata la nostra discesa
Una settimana dopo, Giulia gli propose un aperitivo a casa, con la scusa del buon vicinato. Malik accettò. Quando lo disse a me, stavo facendo colazione.
Lei era in vestaglia, senza mutandine, e appoggiata al lavello della cucina. “Pensavo di invitarlo venerdì sera. Solo noi tre. Pizza, vino… e vediamo come va.”
Non dissi nulla. La guardai. E annuii. Avevo il cazzo già duro.
Venerdì arrivò troppo in fretta. Giulia passò ore a prepararsi: ceretta integrale, trucco leggero ma provocante, rossetto rosso lucido, e un vestitino nero senza reggiseno, così corto da mostrare la curva delle sue natiche quando si chinava.
Io mi sentivo uno spettatore del suo spettacolo, uno schiavo dei suoi desideri, un elemento casuale della sua fantasia in via di realizzazione. Ma mi piaceva. Dio se mi piaceva.
Malik arrivò, a malapena si vedevano i dettagli del suo volto, mentre in controluce, ancora sul pianerottolo, mi porgeva la bottiglia di vino che gentilmente portò.
Quando lo vide, Giulia si trasformò. Rideva, scherzava, si avvicinava a lui sempre di più. Si toccava le labbra, si sistemava i capelli, lo sfiorava ogni volta che poteva.
Io servivo il vino, muto. Mi sentivo piccolo. Inutile. Eppure, eccitato come non mai.
Ci sedemmo a tavola, una scena quasi normale ma con un’elettricità sotto pelle.
Malik, incalzato, iniziò a raccontarsi con voce calma e profonda.
Disse di essere single da un paio d’anni, dopo una relazione finita male. “Il lavoro mi porta via molto tempo… e poi non ho ancora trovato una donna che sappia davvero tenermi testa,” disse sorridendo verso Giulia, ma con una discrezione magistrale.
Lei si illuminò. Si chinò leggermente sul tavolo, come per ascoltarlo meglio, mostrando un po’ più di décolleté. Gli chiese della sua vita in città, dei suoi hobby, del motivo per cui aveva scelto proprio quel quartiere. Malik parlava con naturalezza, ma a tratti… a tratti sembrava realizzare l’atmosfera. Ogni tanto si interrompeva un secondo, osservava Giulia, poi me.
Come se stesse valutando i confini, studiando il terreno, percependo che qualcosa di insolito si stava muovendo sotto quella superficie di chiacchiere leggere.
Io ascoltavo in silenzio. Ogni tanto sorridevo, ma ormai ero diventato un’ombra ai margini della scena. Mi accorgevo che non stavo partecipando: stavo assistendo. Come uno spettatore nascosto in un angolo buio del teatro.
Giulia gli toccò il braccio più a lungo del necessario quando gli passò il peperoncino.
Lui non si tirò indietro. Le sue dita rimasero lì un secondo extra. Non un gesto esplicito, ma abbastanza da farmi capire che aveva colto tutto. Colto la tensione. Colto lei. Colto me. E soprattutto: colto una possibilità.
Ma la trattò con delicatezza. Con eleganza. Con quel rispetto che rendeva tutto ancora più irresistibile.
Non era un predatore che attacca. Era un uomo che capisce quando è il momento di lasciare che siano gli altri a invitarlo.
Io mi sentivo sempre più immerso nel ruolo che temevo e desideravo allo stesso tempo: quello del marito che guarda.
A un certo punto, Malik guardò me, poi lei, trattenne il fiato e disse con voce profonda: “È tutto okay se la bacio?”. Giulia non mi guardò neppure. Annuii. Lei si girò verso di lui e si fece prendere. La sua bocca si schiuse sotto la sua, le mani di lui la stringevano sui fianchi. Io tremavo. Sapevo che non si sarebbe più fermata. E io non volevo fermarla.
Il sesso estremo: anale, dominio e sottomissione
Quella sera diventò una discesa rapida verso l’abisso del desiderio. Malik la prese per mano e la portò in salotto. Lei gli si inginocchiò davanti senza bisogno di parole. Gli aprì i pantaloni. Il suo cazzo era immenso: nero, duro, lungo e spesso. Giulia sospirò appena lo vide. Poi glielo prese in bocca come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Io guardai per un pò, poi mi slacciai i pantaloni, mi sedetti per terra e presi il mio cazzo in mano tremante. Li guardavo, incapace di un sussulto di dignità, direbbe un osservatore esterno.
Malik la teneva per i capelli, spingendo lentamente il suo cazzo nella gola di Giulia. Lei lo prendeva tutto, senza esitazioni. Lo succhiava con passione, mentre io osservavo da spettatore, sottomesso, eccitato al limite.
Poi la fece inginocchiare sul divano. Le sollevò la gonna. Il suo culo bianco era già bagnato, preparato. Malik ci sputò sopra, le infilò un dito nell’ano, poi un secondo. Giulia gemeva. “Yes… in culo… ti prego…”, sussurrava. Lui la guardò e le disse: “Lo vuoi, troia bianca?”. Lei annuì.
E lui glielo diede.
Le entrò dentro piano, all’inizio, poi più forte. La riempiva, centimetro dopo centimetro. Lei urlava, si aggrappava ai cuscini, mentre il suo culo si apriva per riceverlo. Era una scena animalesca. Malik la dominava. Lei era sua. E io… ero nulla.
Solo un marito cornuto che si segava davanti a sua moglie mentre veniva scopata nel culo da un uomo nero.
Quando Giulia raggiunse l’orgasmo, urlò il mio nome. Ma non mi guardò. Lo fece con il cazzo di Malik ben piantato nel culo, mentre tremava e gemeva senza controllo. Lui le strinse i capelli, la scopò ancora più forte. Ma non era ancora finita.
L’umiliazione finale: il bacio alla sborra
Dopo averla distrutta, Malik la fece inginocchiare davanti a lui. Lei, spettinata, il trucco colato, il culo ancora aperto, si mise in posa come una schiava. Malik iniziò a masturbarsi davanti al suo viso. Giulia allungò la lingua. Lui le disse: “No, aspetta. Chiamalo.” Lei mi guardò.
“Vieni qui, amore. Vieni a prendere quello che meriti.”
Mi avvicinai a carponi, tremando. Malik sussultò. Spruzzò. Uno, due, tre getti potenti di sperma sul viso di Giulia. Lei raccolse tutto con le dita e lo portò alla bocca. Poi mi guardò. E mi baciò.
Un bacio lento, umido, pieno. Mi passò la sborra nella bocca. La tenni un secondo sulla lingua… e poi ingoiai. Malik ci osservava, nudo, ancora mezzo duro. “Good boy,” disse. E rise.
Non era solo umiliazione. Era liberazione.
Giulia si sdraiò sul tappeto, esausta. Malik si rivestì, salutò con un bacio sulla fronte e uscì. Io rimasi lì, nudo, con la bocca ancora sporca. Guardavo mia moglie. La donna che avevo sposato. La donna che ora sapevo essere anche la puttana perfetta.
E io? Io ero il suo cuckold. Felice. Realizzato. Completo.




