E lui, neanche una parola

Entrai silenziosamente dalla porta d’ingresso, con i tacchi che risuonavano leggeri sul pavimento di legno.
Lui era lì, proprio dove sapevo che sarebbe stato, con gli occhi spalancati, un po’ impaziente, un po’ ansioso.
Sorrisi dolcemente mentre chiudevo la porta alle mie spalle.

“Ciao tesoro”, dissi, posando la borsa.
“Sono appena tornata dal mio appuntamento con il nostro toro”

La sua mascella si contrasse. Riuscivo quasi a sentire il suo cuore battere forte dall’altra parte della stanza.

“È andata davvero bene”, aggiunsi, mordendomi il labbro mentre mi avvicinavo, lasciando che la tensione aleggiasse nell’aria.
“Davvero…bene”

Poi l’ho detto, dolce ma malizioso:

Mi ha fatto un pasticcio nelle mutandine. Vuoi vedere?”
Il calore nei suoi occhi mi disse tutto quello che avevo bisogno di sapere. Così mi voltai, sollevando lentamente l’orlo del mio abito corto. Le mie dita si infilarono nell’elastico delle mutandine e iniziai a sfilarle centimetro per centimetro, lasciando intravedere la parte scoperta, guardandolo trattenere il respiro mentre mi chinavo quel tanto che bastava per provocarlo senza pietà.

“Attenzione”, lo avvertii con un sorriso mentre il tessuto umido cadeva verso le mie scarpe, “mi è quasi finito sui piedi”.
Feci penzolare le mutandine tra le dita e mi voltai verso di lui, con la voce carica di crudeltà giocosa.

“Vuoi annusare?”

Le sue labbra si dischiusero come se stesse per dire qualcosa, ma non uscì nulla. Solo quel silenzio sbalordito ed eccitato.

“Il tuo piccolo pene è già duro?”, dissi con un broncio mentre abbassavo lo sguardo. “Sei adorabile.”

Mi avvicinai ulteriormente, premendogli le mutandine contro il petto per un attimo prima di dirigermi verso la camera da letto, muovendo deliberatamente i fianchi.

“Vieni con me”, dissi, lanciando un’occhiata alle mie spalle.
“Andiamo dove puoi vedere meglio.”

Mi seguiva come un’ombra, il respiro irregolare, gli occhi che mi assorbivano a ogni passo. Mi sdraiai sul letto, con le gambe leggermente divaricate, un braccio dietro la testa, mentre lo guardavo con pigra distrazione.

“Tiralo fuori”, gli ordinai.
“Voglio vedere quella tua piccola cosa mentre guardi la mia figa sporca e usata.”

La sua mano tremava mentre obbediva. Potevo vedere il modo in cui i suoi occhi guizzavano tra le mie cosce e la sua patetica eccitazione.

“Accarezzalo”, dissi con voce roca. “Accarezza quel piccolo cazzo mentre pensi a me che vengo soddisfatta appieno dal nostro toro. Mi ha preso così in profondità che mi fa ancora male. Non riuscivo a smettere di gemere.”

Feci scorrere lentamente le dita tra le pieghe della mia pelle, allargandomi appena un po’, lasciandogli vedere la prova di quanto fossi stata presa a fondo.

“Vorresti assaggiare?”, dissi dolcemente, come se niente fosse.
Come se lui non fosse niente.

Si tuffò tra le mie gambe, inginocchiato tra le mie gambe, cominciò con la lingua che lavorava con diligenza e riverenza, mentre io mi rilassavo e sospiravo di beatitudine soddisfatta. Non si trattava più di piacere.
Si trattava di metterlo esattamente dove doveva stare: sotto di me.
Tra le mie cosce. Alla mia mercé.

“Basta”, dissi, guardando i suoi occhi chiudersi.
“Metti in ordine tua moglie sporca. Quella che non riesci a soddisfare. Quella che deve andare da un’altro uomo per soddisfare anche i suoi bisogni più elementari.”

La sua lingua era così obbediente. Così desiderosa di dimostrare ciò che il suo cazzo non avrebbe mai potuto. Che mi amava, che aveva bisogno di me, che mi adorava.

“È così bello”, sussurrai, infilandogli le dita tra i capelli. “Sapere che mi stai leccando per pulirmi… sapere che sei al tuo posto.”

Inarcai i fianchi, guidandolo. “Pulisci tutto, tesoro. Il suo sperma, il mio piacere, Il mio corpo. Tutto. Tuo da servire. Mai da possedere.”

Non parlò. Non ne aveva bisogno. La sua lingua, i suoi occhi, il suo stesso respiro raccontavano la storia: quella di un uomo profondamente innamorato, totalmente abbandonato, completamente distrutto dalla donna che chiamava sua moglie.

E io?

Ho solo sorriso

“Adesso metti il preservativo e prima che ci ripensi facciamo la solita patetica scopatina, te la sei guadagnata dopo tutto”

Con le mani tremanti si mise il preservativo, mi salto’ addosso e si infilò dentro. Mi morsi il labbro… poi ridacchiai.

“Oh… wow. Che sensazione… diversa.” Il mio tono era sdolcinato e sarcastico. “Sei così piccolo, tesoro.”

Si contorse dentro di me, quel piccolo movimento disperato che cercava di reclamare un po’ di spazio. Mi fece solo ridere ancora di più.

“Il suo cazzo si che mi faceva stare bene”, sussurrai, sfiorandogli la guancia con le dita. “E tu… beh, vorrei tanto poterti sentire.”

Lasciai che il silenzio aleggi prima di parlare di nuovo.

“Se avessi fatto un lavoro migliore”, dissi dolcemente, “forse non avrei bisogno di andare di nascosto a casa del nostro toro per essere soddisfatta”.

Il suo ritmo accelerò. Potevo sentire il ritmo patetico del suo orgasmo crescere: frettoloso, bisognoso, senza speranza.

“Stai per venire, tesoro?” lo provocai, con voce leggera e crudele.
“Quel piccolo cazzo sta per fare il tuo piccolo schizzo? Fallo. Mostrami cosa sa fare quel piccoletto, metti il tuo spermino nel preservativo”

Gemette mentre si liberava, solo un guizzo di sensazioni, solo un briciolo di ego, niente in confronto al fuoco che era stato dentro di me prima. Gli accarezzai i capelli con amore mentre riprendeva fiato, ancora dentro di me, ancora sopraffatto.

Rimase sdraiato su di me per qualche minuto, riprendendo fiato. Ci guardammo negli occhi, sorrisi per il momento di connessione che provammo insieme. Lo adoro, lo amo e amo il modo in cui ci facciamo del bene e del male a vicenda.
Quel momento fu tutto per noi.

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